Milizia comunale negli statuti cittadini - Tortona
La città di Tortona conserva ancora gli statuti originali, pubblicati in Milano nel secolo XVI. A quel tempo la città non era più indipendente, ma ormai da secoli parte del ducato di Milano. Fortunatamente però la pigrizia e la consuetudine avevano fatto si che le sezioni dedicate all'organizzazione militare, ormai in disuso da più di duecento anni, non fossero cancellate, ma pervenissero complete nella loro ultima stesura probabilmente dell'inizio del secolo XIV. Abbiamo così la fortuna di poter leggere le norme principali che regolavano un esercito dei Liberi Comuni.
Le norme sono contenute nel Quarto Libro degli statuti sotto il titolo : “Rubrica de Exercitibus et cavalcatis”. Sono circa una dozzina di pagine scritte fitte fitte in latino, con qualche termine dialettale, in cui si tratta delle cavalcature e della loro qualità, delle norme circa la chiamata dell'esercito, l'armamento, il comportamento prima e dopo la battaglia.
Cerchiamo di dare alcune indicazioni tratte da queste norme .
I militi, sia cavalieri, “Milites”, sia fanti, “Pedites”, venivano convocati al suono delle campane, delle trombe o della “Scheletam militum”. Al comando vi era un Rector, che poteva essere un console, il Capitano del Popolo o un ufficiale nominato per la bisogna. La chiamata alle armi riguardava tutti gli uomini dai 18 ai 60 anni, e pesanti multe erano previste per i renitenti, sia nobili sia popolani. Nel periodo in cui l'esercito era levato e situato in città era previsto che nessuno potesse uscirne senza specifiche licenze del Rector o dei suoi ufficiali. Per guidare l'esercito nel suo complesso si utilizzava un Gonfalone, quindi vessilli per la cavalleria e la fanteria e bandiere, affisse alle lance, per i singoli reparti. L'esercito, oltre che fra Milites e Pedites, si divideva in reparti più piccoli, creati su base di vicinato (presumibilmente le porte cittadine, come avveniva a Pavia o Milano) o della provenienza dai borghi circostanti, e questi reparti erano guidati da bandiere issate su alte lance. In marcia vi era l'obbligo di muoversi in ordine, senza allontanarsi dal gonfalone e dalle bandiere di reparto, “Ire strictis post bandieras et gonfalonos”. In battaglia ci si disponeva su schiere regolari, strette dai “Stringischiera” o “Serragente” e limitate in avanti dal gonfalone e dalle bandiere. Si legge infatti: “Nessuno osi superare o passare oltre le bandiere del comune di Tortona, nè la bandiera del rettore, senza permesso (Nullius homo audeat transige sive passare biandieras communis Terdonae nec bandieram Rectoris, sine licentia). In battaglia accadeva spesso che si perdessero i riferimenti, in questo caso si faceva obbligo agli sbandati di raccogliersi attorno al Gonfalone comunale oppure alla Bandiera del Rettore. Come si potrà capire importante era la figura del portastendardo, doveva essere un “Uomo d'armi buono e capace“ che aveva l'obbligo di tenera sempre la bandiera ed il gonfalone ben alti (Bandieram rectam tenere, firmam vel firmum) e di non abbassarlo mai, neppure in “Proelio”. Per il portabandiera o stendardo che abbassavano l'insegna era prevista la pena peggiore di tutto il codice militare. Se la battaglia era vittoriosa le armi erano divise fra i combattenti, i prigionieri erano inviati in città, mentre il bottino era diviso fra la città e chi aveva partecipato alla battaglia. Al termine della campagna era il Rettore che decideva quando sciolgliere l'esercito. Il vettovagliamento delle truppe era supervisionato da due uomini scelti tra i più stimati per ogni porta cittadina, e probabilmente, come accadeva in altri comuni, i mercanti seguivano l'esercito sia per fornire rifornimenti sia per concludere buoni affari con il bottino.
Per quanto riguarda l'armamento, gli statuti ci forniscono un'immagine precisa dell'armamento di un cavaliere e di un fante agli inizi del secolo XIV. “Item statutum et ordinatus est" si ordina che i Milites debbano avere :
- Armatura oppure corazza, in maglia di ferro
- Panciera, protezione per il petto, in cuoio spesso o ferro.
- Collare o gorgiera “de ferro”
- Cervelliera, barbuta o capellina, oppure cappello di ferro
- Spada “cum cuspidem”, con la punta
- Lancia
- Coltello appuntito
Le multe erano pesanti ma, apparentemente in modo curioso, colpivano maggiormente la mancanza di armamento difensivo, piuttosto che offensivo. La rievocazione mette in luce come una cattiva protezione conduca presto a ferite e quindi a ritirarsi dal campo di battaglia, cosa che provocava confusione, e demoralizzava i combattenti restanti. Paradossalmente era meglio un cavaliere disarmato, ma che fungeva da “Massa passiva”, piuttosto che uno ben armato ma che usciva subito dalla battaglia.
Per i Pedites l'armamento era composto essenzialmente da due armi :
- Lancia longa , probabilmente oltre i 4- 5 metri , come la picca usata nel secolo XVII, ed infatti il codice specifica “non bordonos nec curtas”
- Balestra, che in questo periodo aveva sostituito l'arco .
- Spada
Per la difesa si prevede che si possa avere:
- Corazza e panciera , se si ha a disposizione
- Cervelliera, o barbuta o “Capellum ferri”
Se non si ha nessuna di queste armi, “ad Minus” il fante deve portare con se “Saponum”, ovvero una zappa.